“Dalla comunità degli Israeliti prenderà due capri per un sacrificio espiatorio e un ariete per un olocausto. Aronne offrirà il proprio giovenco in sacrificio espiatorio e compirà l’espiazione per sé e per la sua casa. Poi prenderà i due capri e li farà stare davanti al Signore all’ingresso della tenda del convegno e getterà le sorti per vedere quale dei due debba essere del Signore e quale di Azazel. Farà quindi avvicinare il capro che è toccato in sorte al Signore e l’offrirà in sacrificio espiatorio; invece il capro che è toccato in sorte ad Azazel sarà posto vivo davanti al Signore, perché si compia il rito espiatorio su di lui e sia mandato poi ad Azazel nel deserto.”
Si sa, l’Antico Testamento non è propriamente un romanzo d’amore, il problema è che per un paio di millenni almeno per miliardi di persone è stato considerato “il Vangelo”, quindi non solo indiscutibile e foriero dell’unica verità, ma anche la fonte di una serie infinita di interpretazioni che hanno portato a ben radicati modi di pensare e di essere anche questi indiscutibili. Beh uno di questi, è evidente nel testo sopra, è quello cosiddetto del “capro espiatorio”.
Su questo comportamento che da individuale diviene sociale, con conseguenze nella Storia umana spesso nefaste e generatrici di fiumi di sangue e cadaveri, si sono centrati gli studi di fior di studiosi tanto da farlo diventare una teoria studiata in sociologia, psicologia sociale, filosofia.
Il cosiddetto “capro espiatorio” ha due funzioni psicologiche essenziali per l’individuo: 1) soddisfa il bisogno di esercitare il controllo elaborando una chiara spiegazione di un risultato negativo altrimenti inspiegabile; 2) aiuta a mantenere un’immagine positiva di noi stessi minimizzando il senso di colpa per la responsabilità che abbiamo davanti a un risultato negativo o non soddisfacente.
In sostanza, questa modalità si esprime in due modi che hanno molti punti in comune, dare la colpa “fuori” o darla “dentro” noi stessi e in entrambe “ci raccontiamo una storia”.
Nella prima se le cose vanno male non è “colpa” nostra ma è “colpa” di qualcun altro, non importa chi basta che non siamo noi stessi; così l’oggetto/soggetto “capro espiatorio” diviene il protagonista assoluto e il contenitore di tutte le nostre frustrazioni.
Questo perverso meccanismo fondato su giudizio e paura nasce e si sviluppa nelle nostre zone d’ombra e usa come strumento la proiezione, ovvero quella dinamica psicologica attraverso la quale riversiamo emozioni e sentimenti non piacevoli come rabbia, frustrazione, senso di colpa, vergogna, insicurezza o invidia, su un’altra persona o gruppo, possibilmente più vulnerabile e con apparenti meno armi per potersi difendere di quante noi pensiamo ne servirebbero per smontare la storia che ci siamo raccontati per non avere la “colpa” del risultato negativo o non soddisfacente.
Il meccanismo del “capro espiatorio” con i relativi processi psicologici consentono alla persona o a gruppi di persone non importa quanto numerosi, di scaricare quei disagi emotivi psicologici ritenuti “negativi e/o inaccettabili”, sostituendoli così con quel consolante e tranquillizzante senso di riaffermazione e di indignazione moralistica contro l’oggetto/soggetto scelto come “capro espiatorio” e, finalmente, grazie a lui si potrà avere la spiegazione del fallimento preservando la propria immagine di sè. Cosa si porta come conseguenza? Beh, una ovvia, salviamo il nostro ego, il nostro io, l’immagine di noi stessi, “ma” cominceremo a nutrire ed alimentare la separazione, l’odio verso verso quella persona o gruppi di persone che secondo la storia che ci raccontiamo sono i “veri colpevoli di tutte le disgrazie”. Naturalmente per reggersi in piedi la “storia che ci raccontiamo” necessita il contraltare del “capro espiatorio”, ovvero l’oggetto/soggetto “eroe”, che sono entrambe figure fittizie, inventate dalla narrativa per sostenere l’impalcatura.
In questo modo, spesso, accade che i “cattivi” necessitino di “cattivi” ancor più “cattivi” di loro da incolpare e, questa dinamica perversa nei momenti di difficoltà o crisi si amplifica esponenzialmente in quanto aumenta la paura. Potrebbe così succedere che, boh, leader politici possano sfruttare in maniera del tutto cinica questo impulso arcaico e profondamente radicato nel trovare “gruppi di capri espiatori” per scaricare le colpe e responsabilità e distrarre l’attenzione dalle proprie incapacità, limitatezze, errori? Boh, un esempio…
Un grandissimo, Renè Girard (antropologo, scrittore, filosofo), sosteneva che per soddisfare il nostro bisogno di appartenenza come esseri sociali, abbiamo la tendenza ad “imitare” gli altri, ma imita oggi e imita domani, è possibile che si inizino a cancellare le differenze, divenendo così tutti più simili gli uni agli altri arrivando a desiderando cose, fisiche (telefonini, case, auto, yacht) o meno (successo, fama, potere) di altri e questo ci porterà inevitabilmente ad avere gli stessi obiettivi e quindi a lottare per le stesse cose alimentando a dismisura la rivalità in una sorta di “tutti contro tutti”. Ovviamente, in questo modo si incrementeranno paurosamente i livelli di tensione, caos, violenza che minacciano l’esistenza stessa della società in una enorme “follia generalizzata”. Allora, secondo Girard, la violenza, la rabbia, l’odio è meglio incanalarle scaricandole solo su un piccolo gruppo che, di fatto, diviene il “capro espiatorio”, facendo sì che tutti coloro che stavano combattendo tra loro uniscano le forze contro quell’unico “nemico comune”. Così accadrà che gli ex nemici divengano amici verso l’avversario sul quale scaricare tutte le “colpe”. Ma affinchè questo possa avvenire è necessario che questo “capro espiatorio” divenga il cattivone davvero, quindi si costruisce una narrazione che lo faccia diventare il mostro, il malvagio, colui che deve essere punito per avere violato divieti impliciti o espliciti che porteranno alla condanna, l’esclusione, la morte del “capro espiatorio” ristabilendo un fintissimo ordine sociale. E più sarà dura e violenta la punizione, più l’ego, l’io si sentirà sollevato; “ma” essendo “ego”, questo inganno durerà sino al prossimo ciclo, non ha importanza la durata, nel quale tutto ricomincerà. Nella Storia quante volte è accaduto? Infinite! L’anima, la parte più autentica in ogni essere umano, naturalmente sa benissimo che tutto questo si regge su una storia ben costruita, e, prima o poi, presenterà il conto.
Nella seconda modalità, ovvero dare la colpa “dentro”, la storia che ci raccontiamo è rivolta a noi stessi; alcuni individui possono anche scegliere, ovviamente inconsapevolmente, di essere il “capro espiatorio” per salvare altre persone o insieme di persone. Per esempio, un soggetto che viva in una famiglia conflittuale, tossica, nella quale regnano la rabbia, la frustrazione e quindi la possibile perdita dei punti di riferimento di sopravvivenza fisica e affettiva, scelga di ammalarsi, una dipendenza, essere sempre sofferente, per fare in modo che la famiglia ponendo tutta l’attenzione su di esso non si disgreghi generando una ferita che il soggetto percepisce peggiore.
La dinamica è la stessa e molto, molto difficile da scardinare anche perchè, spesso, le conseguenze percepite dall’individuo o insieme di individui, sono terribili: la morte fisica o psicologica che non hanno differenza alcuna per quella parte di ego/io.
Naturalmente tutto questo non è altro che il frutto di individui o gruppi di individui che non si accorgono di ciò che sono davvero nè di ciò che agiscono, che non riflettono su sè stessi, che non possono riconoscere le proprie responsabilità per gli eventuali errori commessi in quanto una società che si regge su un’educazione premio/punizione non ammette errori e quindi si è intrappolati in un ciclo sempre uguale che necessita, alla bisogna, di cercare e trovare sempre nuovi colpevoli.
Come se ne esce? Gli orientali, per esempio, sono chiarissimi in questo, non è un caso che il Buddha si chiami “il risvegliato”, e che i tre veleni siano attaccamento (brama), avversione (rabbia, odio) e ignoranza, l’ignoranza di non conoscere sè stessi e quindi di non “accorgersi” di ciò che si mette in atto inconsapevoli del giudizio e del meccanismo causa/effetto.
In sostanza, cominciare ad ascoltare il respiro.
Un abbraccio.
Carle
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