Competenze e relazione di aiuto

18 Gennaio 2021

Una delle emergenze alle quali ci troviamo di fronte in questo momento storico è quello della necessità di ascolto, di supporto psicologico, di riconoscimento del disagio dato dalla povertà estrema della qualità relazionale vuoi per l’isolamento, vuoi per la paura, vuoi per i conflitti diffusi e altro.

Venerdì scorso con FedPro, l’associazione aggregativa, costituita sulla base della legge 4/2013, che si occupa di associazioni di categoria professionale nel settore specifico della relazione d’aiuto, della quale faccio parte sia come counselor e trainer che come direttore didattico di Terre d’Ascolto, si è tenuto un incontro durante il quale ci siamo confrontati su vari temi. Uno di quelli che personalmente ritengo più importante e che anche in FedPro risulta essere centrale, è quello della certificazione delle competenze.

Purtroppo per quanto riguarda le professioni della relazione di aiuto a livello normativo il nostro paese risulta essere molto indietro rispetto ad altri, quantomeno all’interno della Comunità Europea, creando come spesso accade una confusione nella quale si genera una sorta di far west in cui ognuno può sentirsi libero di fare tutto e anche in cui tutti sono contro tutti.

Quindi basta aver fatto un corso dall’Illustrissimo Maestro dei Guru Sotuttoionanda per sentirmi Sotuttoioguru e sbandierare ai quattro venti i miei seminari per diventare un vero, unico e autentico Sotuttoio e poter dire agli altri “Io solo ho capito cosa sono le Pozioni Polisucco, e voi no”, oppure avere preso la Laurea con 220 e Laude Maxima in Sotuttologia Psicoterapeutica Applicata all’Università di Hogwarts, l’unica riconosciuta nell’Universo dei Ministeri dell’Istruzione Intergalattici per poter dire, a volte con arroganza, “Io posso perchè lo dice il Ministero che le mie competenze valgono e tu no e io solo io posso parlare dell’uso dell’Incanto Patronus”.

Insomma a me pare che in questo momento ci sia un grande mare magnum nel quale, come per le opinioni su Trump-Biden/vaccino sì-no/WhatsApp-Signal etc., vale tutto e il suo contrario. Girando per le scuole, facendo interviste, parlando con professionisti di vari ambiti della relazione d’aiuto, mi sembra che ci siano molte persone, anche tra i colleghi, che non hanno chiara, per esempio, la distinzione tra counselor, psicologo, psicoterapeuta e psichiatra; non hanno la più pallida idea di quale sia il campo di studi e le competenze che si acquisiscono nei vari percorsi; non hanno ben chiari quali siano i limiti di intervento o, peggio ancora, credono di saperlo e fanno disastri sia in termini di accuse verso gli altri che, soprattutto, verso le persone che si rivolgono a loro per essere aiutate.

Se c’è questa confusione tra i professionisti, figuriamoci tra chi ha bisogno un supporto per le proprie esigenze interiori! In Italia esiste una legge, la 4/2013 che se, da un lato ha portato un minimo di regolamentazione, da un altro ha creato ancor più confusione nella quale può sembrare che chiunque abbia fatto un corso possa poi svolgere una professione.

Siccome al centro di questo tema c’è la cosa più importante, ovvero il benessere della persona, penso siano fondamentali alcune cose:

1) la certificazione delle competenze, ovvero che le associazioni delle categorie di professionisti della relazione di aiuto vigilino attentamente sull’operato delle scuole affinchè quando viene rilasciato un attestato ci sia una ragionevole assicurazione che l’allievo abbia la preparazione adeguata; cosa che al momento, a mio avviso, così non è creando i conflitti attualmente in corso tra figure professionali, a volte, a mio avviso, anche giustificati (counselor che fanno gli psicologi, psicologi che fanno gli psichiatri, operatori olistici che fanno i fisioterapisti, naturopati che fanno i medici, medici che fanno gli psicologi e così via). Questo, secondo me, metterebbe anche in ulteriore risalto la capacità, l’onesta intellettuale e di coscienza del singolo professionista.

2) una normativa che sia chiara e il più definita possibile, magari attingendo a quelle di altri paesi nei quali queste figure professionali sono ben chiare nei loro limiti di intervento. Questo, naturalmente, prevede anche organi di controllo che abbiano la preparazione necessaria a comprendere le differenze.

3) Proprio le Associazioni di categoria sarebbe importante che collaborassero, anzichè farsi la guerra come spesso accade, per portare non solo chiarezza ma anche essere da esempio in un mondo che separa, di quali sono le opportunità opportunità che, invece, ci sono nell’integrazione, nella cooperazione e collaborazione. Questo sarebbe, a mio avviso, solo un bene innanzitutto per le persone bisognose di supporto, per tutti i professionisti e, mi viene da dire, per tutti.

4) che ogni singolo professionista si guardi dentro con umiltà e intelligenza accorgendosi che l’attestato potrebbe anche essere un’identità nel quale si riconosce, che potrebbe anche andare bene se non diventa identificazione con il ruolo; riconoscere le qualità, certo, e anche i limiti delle proprie competenze aprendosi alla possibilità di conoscenza di quelle dell’altro professionista senza vederlo come un nemico da combattere chissà, magari, anche per esigenze di mercato.

Come counselor, trainer e direttore didattico di Terre d’Ascolto sto mettendo tutti gli sforzi possibili per trasmettere a chi frequenta i nostri seminari che al centro della relazione di aiuto c’è il cuore, l’incontro con il cuore dentro di sè, che significa incontrare l’amore per divenire dono di sè, quella che in Terre d’Ascolto amiamo chiamare “l’intenzione di bene”.

Se questo è appreso, tutto quanto ho scritto sopra è già realizzato.

Carlo

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