Buongiorno a tutti, credo che mai come in questo momento, almeno negli ultimi 50 anni, ci siamo trovati di fronte a livello globale ad una evidenza di questa equivalenza: in un modo o in un altro la maggior parte delle persone sta vivendo la paura per una malattia. Come mai accade ciò e come mai accade adesso in questo modo così dirompente?
Questo è un tema del quale per forza di cose ho dovuto occuparmi avendo iniziato il mio percorso di malattia nel 2003 quando la vita che mi ero scelto, apparentemente, mi stava dando tutto ciò che potevo desiderare, e appunto la malattia, che mi ha portato nel 2013 alla dialisi, apparentemente mi ha portato via, per donarmi, invece, molto di più di quanto potessi pensare: me stesso.
Beh, se prendessimo come riferimento il pensiero deterministico di Michel Focaul, filosofo francese contemporaneo, “Noi non moriamo perché ci ammaliamo, ma ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire” il problema non si porrebbe.
La questione nasce dal fatto che quella risulta essere solo una bella, per chi piace, e dotta citazione alla quale in realtà non crediamo minimamente oppure ci crediamo ma nello stesso tempo ci fa sorgere la domanda: e quindi? Mo’ che sono quì che faccio? E la risposta spesso è: cerco di vivermela al meglio possibile.
E il meglio che il contesto sociale e culturale nel quale ci troviamo ci fa credere sia l’unico possibile è quello che vediamo quotidianamente intorno a noi: essere sempre al 100%, cool, al massimo, performanti, fighissimi. Il modello proposto è sotto gli occhi di tutti su ogni media possibile, dai quotidiani, ai social network, alla televisione. Naturalmente tutto qursto ha un fine: il mercato.
Questo moloch che è divenuto la vera e unica divinità che usa, come strumento per esercitare il suo potere infinito, il denaro. Beh, appare evidente che in un mondo siffatto la parole d’ordine sia efficienza e competizione a tutti i costi!
Efficienza e competizione, non necessariamente in quest’ordine e uno al servizio dell’altra, insegnati, inculcati, trasmessi sin dalla più tenera età a tutti i livelli sociali che prevedono come unico metodo educativo premio e punizione. In un mondo così è ovvio che nel momento in cui interviene qualcosa che riduce anche solo temporaneamente la mia capacità di essere efficiente, performante e competitivo immediatamente nasce in me il pensiero che perderò tutto, non solo la vita fisica, ma soprattutto quella relazionale.
Quindi altrochè nascere la paura! Non è semplice paura è terrore! Il terrore di perdere non solo tutto ciò che ho ma anche tutto ciò che sono.
Con una visione un filino più allargata delle cose, ci si accorgerebbe subito che tutto questo è un’illusione.
Un mondo come quello nel quale ci troviamo ci impedisce di comprendere ovvero cum con e prehendere prendere, ovvero far sì che un principio di valore, un pensiero, una posizione, un sentimento, nella nostra mente acquisisca il peso massimo che può avere, che dispieghi il massimo effetto, ciò che si comprende diventa proprio, diventa il mattone per costruirsi; comprendere che la malattia e la morte, molto semplicemente, fanno parte della vita.
Ma noi no, questo non è ammissibile! E allora la malattia la nascondiamo, prima di tutto a noi stessi e dicamo a voce alta NO, questo non deve esserci! In sostanza neghiamo la vita, quindi la vita non è amica e diventa diventa quindi mia nemica. Bhè, nel momento in cui neghiamo la vita, di certo non possiamo aspettarci che la vita ci accolga!
E allora nasce la paura, che viene espressa, solitamente, tramite le due figlie: la rabbia e la tristezza. Ed è esattamente ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni, rabbia e tristezza sono le due emozioni preponderanti nelle persone a prescindere dai due schieramenti polarizzati pro o contro qualcosa. A cosa ci stanno portando? Solo ed esclusivamente separazione, divisione, distanza.
Innanzitutto da noi stessi, continuando a restare in un pensiero ruminante, in loop, sempre lo stesso, “io ho ragione, tu hai torto” che ci impedisce di vedere altro; quel pensiero “no, questo non deve esserci” che impedisce il fluire della vita, questo pensiero che è il vero nemico dentro di me. Al di là della mascherina c’è un altro, che non è il mio nemico, è un altra persona come me con emozioni e bisogni come i miei.
Come posso dialogare con lui verso soluzioni creative per il bene di entrambi se lo vedo come un nemico?
A mio parere, c’è solo una via possibile, quella che grandi maestri con Thich Nhat Hanh ci hanno mostrato: è importante che mi prenda cura di quella paura, di quella rabbia di quella tristezza, come fossero dei bambini piccoli che stanno piangendo, urlando, chiudendosi in un angolo. Partendo da un abbraccio. Quei piccoli dentro di me hanno un sacco di cose da dirmi, ed è necessario che io li ascolti. L’altro è impaurito come lo sono io, arrabbiato come lo sono io, triste come lo sono io.
Vogliamo iniziare ad ascoltare? Aprire la mente, per aprire il cuore?
Di questo dialogheremo durante la diretta di domani alle ore 19 sulla mia pagina facebook e sui canali social di Terre d’Ascolto.
Grazie per avermi letto. Buona domenica.
Un abbraccio.
Carlo
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