Nel nostro tribunale interno la legge non C’è

7 Aprile 2021

La sento tante volte quella vocina, quel pensiero, quel motivetto di sottofondo che mi accompagna in molti momenti della giornata e che esplode spesso e volentieri: “ma possibile?!”, “sei sempre il solito somaro”, “ma puoi essere così coglione?”, “bravo pirla!” e queste sono solo le cose più comunicabili da scrivere su un blog! Magari è solo caduto un bicchiere oppure mi sono dimenticato il tè in infusione per un’ora oppure ho scordato una bolletta da pagare oppure in aula non sono stato così preciso nella spiegazione come avrei voluto oppure mi sono arrabbiato con la gatta sbraitandole contro. Questi sono solo esempi della più comune quotidianità.

E chi è che mi dice queste cose?

Il mio compagno di vita.

No, siamo chiari, non è un fidanzato che parla, bensì qualcuno molto più “attaccato” a me: ovvero il mio giudice interno, quello che mi dice che “se sarò perfetto, allora sì che sarò amato! Amato da tutti!”.

Il giudice interno non indossa la parrucca, la toga nera o quella rossa foderata di ermellino nelle grandi occasioni, macché, ma usa il martello, questi sì! Quello ce l’ha e lo usa forte! Ogni giudice interno si manifesta a suo modo, in base a ciò che ha sentito dire in passato, quando era appena nato. Quelle lì sono le modalità apprese in termini di parole, tono di voce e comportamenti: sbattere gli oggetti, gridare, insultare, sminuire, svilire, sfinire con le sue ingiunzioni, far scivolare verso il basso in modo da potere ulteriormente infierire con “Visto? Lo sapevo che sei un incapace!”.

E quando arriva, quando si infila, come sto? Male, ovviamente. La mia energia vitale dove va? Sottoterra, così potrà ulteriormente portarmi nel suo tribunale dove ci siamo solo io e lui, nessun altro, né avvocati difensori né testimoni.

È proprio in quel momento che ho un bisogno disperato di aiuto, di qualcuno che mi porti fuori da lì, da quel tribunale dove sono prigioniero.

Ma prigioniero di chi?

Spesso di un bambino di pochi anni di vita che vuole salvarsi, vuole essere amato e che ha appreso ed interiorizzato quelle uniche modalità, pensando che fosse il suo bene.

Apprese da chi?

Da quelle figure che avrebbero dovuto dargli solo amore, senza condizioni del tipo “ti amerò solo se…”.

Allora è importante che arrivi un adulto, un adulto che veda; che veda che io sono molto altro e mi abbracci forte, mi tranquillizzi, mi faccia vedere tutto ciò; che arrivi la parte vera, più autentica, più luminosa di me con tutte le sue qualità e risorse. Allora il giudice butterà via il martello e insieme coglieremo un fiore.

Un abbraccio,

Carlo

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